Otto storie di vite nel Dormitorio di Napoli, Iodice restituisce l'identità agli ultimi
Suggestiva rappresentazione di
Mettersi nei panni degli altri/Vestire gli ignudi, mandata in scena al
Centro di Prima Accoglienza
NAPOLI - Maiuscola e suggestiva rappresentazione di Mettersi nei
panni degli altri/Vestire gli ignudi, mandata in scena da Davide Iodice
al Centro di Prima Accoglienza (ex Dormitorio Pubblico). Il lavoro è il
primo movimento del progetto di ricerca e creazione Che senso ha se
solo tu ti salvi, ispirato a Le Sette opere di Misericordia di
Caravaggio. Con esso prosegue il percorso teatrale del regista
napoletano sulla crisi della società contemporanea intrapreso con i
precedenti La fabbrica dei sogni e Un giorno tutto questo sarà tuo. In
un anno Davide Iodice ha raccolto le storie di alcuni ospiti del
dormitorio nel momento in cui hanno "perso la loro identità" e le ha
messe in scena con loro stessi protagonisti, affiancati da attori che
sono specialisti dell'esistenza e della scena. Sono degli assistenti
"magici" che li aiutano con la loro maieutica a fare venire fuori
l'evocazione. Lo spettacolo si svolge in otto stanze per otto storie e
compone un sorprendente affresco esistenziale e umano, capace di
cogliere e restituire il valore della dignità di ogni singolo. Gli
spettatori, guidati, da un attore con il volto mascherato, iniziano la
loro visita. La prima stanza è la Lavenderia in cui si svolge il prologo
del lavoro che ha come tema la ricerca dell'Identità. Si parte da un
cappotto vuoto e da una musicista che suona il violoncello. Compare,
quindi, una figura che si spoglia togliendosi di dosso moltissimi abiti
maschili e femminili a simboleggiare tutte le identità che sono accolte
nel dormitorio. La scena termina con il personaggio che si accascia sui
fili dei panni del bucato e viene coperto da un lenzuolo bianco che la
giovane musicista spande. E' un'anima sulla città e un chiaro
riferimento a Michelangelo. Nel Guardaroba si racconta la storia di
Maria. Legge i tarocchi e declama due sue poesie molto belle. In quel
guardaroba arrivano le giacche che vengono stirate e numerate per
essere, poi, attribuite ad ogni persona ospitata nel dormitorio:
rappresentano i destini di ciascuno di loro e il numero è quello del
letto che gli è stato assegnato. La visita continua e si arriva nella
prima stanza del dormitorio., la Stanza del mare. Su una rudimentale
barca a remi Giovanni, un pescatore di coralli, racconta la sua vita
trascorsa anche in un mare di alcol. E' divento alcolista, perdendo
l'identità, per la morte della moglie. Quindi si va nella Stanza degli
sposi. Qui la perdita dell'identità è la perdita della moglie. Si arriva
alla Stanza di Luciano, un uomo che ha rotto con gli schematismi
familiari e con le convenzioni. Sceglie la libertà che però lo rende un
emarginato perchè gli altri lo mettono da parte. Raccoglie gli oggetti
dimenticati e attraverso questi cerca di ricostruire una sua
affettività. Il percorso continua nella Cappella dove Antonio declama
una sua bellissima poesia il cui incipit è "Non correrò più nell'orto di
mia madre". Parla, come se fosse un sogno, dell'armonia perdura, della
nostalgia del passato. Molto suggestiva la drammatizzazione fatta da
Iodice con l'evocazione delle figure chiave descritte nella poesia. Poi
si va nella stanza dell'Emergenza dove Osvaldo racconta del momento
della perdita della sua identità quando il figlio, investito da un
pirata della strada, diventa tetraplegico. Osvaldo amava la corsa, era
molto bravo, ma per una sua intemperanza non riuscì a vincere la
medaglia messa in palio in una competizione. Iodice gliela dà
simbolicamente nella Corsa, quando tutti i protagonisti, ciascuno
secondo le proprie possibilità, fa una corsa su una pista allestita nel
grande atrio del dormitorio. Uno alla volta tagliano il traguardo dove
c'è uno specchio in cui ciascuno si riconosce e trova la propria
idenità. Di grande effetto il momento in cui tra le mani degli attori e
spettatori, disposti in circolo, passa il filo rosso del traguardo
chiudendosi a cerchio a simboleggiare il sorgere del rapporto empatico
di tutti con tutti. La rappresentazione si chiude con il cantautore
Bruno Limone che canta "Le cose che dovevo fare quando le dovevo fare",
accompagnato al violoncello dalla musicista che si è tolta la maschera
come tutti gli altri. Gli Interpreti sono, Antonio Buono, Davide
Compagnone, Luciano D’Aniello, Maria Di Dato, Giuseppe Del Giudice, Pier
Giuseppe Di Tanno, Raffaella Gardon, Ciro Leva, Osvaldo Mazzeca,
Vincenza Pastore, Peppe Scognamiglio, Giovanni Villani. Collaboratore
generale Luigi Del Parto ; spazio scenico, maschere e costumi Tiziano
Fario ; produzione Teatro Stabile di Napoli, Interno 5, Fondazione
Campania dei Festival, Napoli Teatro Festival Italia ; collaborazione
Centro Prima Accoglienza (ex Dormitorio Pubblico), Scarp De Tenis,
Binario della Solidarietà – Napoli.
(Foto davideiodice-teatro.it)
(Foto davideiodice-teatro.it)
Mimmo Sica
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