samedi 26 juillet 2014

mettersi nei panni degli altri / vestire gli ignudi - Reviews - 8


METTERSI NEI PANNI DEGLI ALTRI
VESTIRE GLI IGNUDI
Le “Sette opere di Misericordia” di Caravaggio ispirano un regista. Più che un regista, Davide Iodice è artefice di una ricerca che vive e cresce da anni. Un vero artista che non dimentica la contemporaneità ma “gioca”, struttura, costruisce, inventa, parla attraverso gli elementi più deboli della società contemporanea. Il teatro è una ricerca visiva ed artistica che spesso si limita alla rielaborazione di testi o all’invenzione di partiture sceniche che abbiano una specifica collocazione, cioè il limite che scavalca  la realtà.  Le partiture sceniche di Iodice, invece, vengono create dalla e attraverso la realtà, in un momento fortemente emotivo che mescola e scioglie in sé invenzione, fantasia, crudeltà del presente. Non parliamo solo di teatro civile o di denuncia, che forse è qualcosa di ben diverso dalla produzione di Iodice, ma parliamo, piuttosto, della capacità di raggiungere il punto di fusione esatto in cui l’ uomo reso attore riesce a descrivere la sua storia attraverso metafore visive, simboli, immagini che rendono teatrale una storia vera. Molti storceranno il naso, diranno che il teatro non è questo: molti altri, invece, per fortuna, hanno decretato questo spettacolo come una delle emozioni più profonde del NTFI 2014. Davide Iodice lavora inevitabilmente attraverso laboratori che formano non l’attore, bensì rendono teatrale l’esperienza di vita. Tre sessioni articolate in tre luoghi diversi, importanti non solo per la loro funzione sociale, ma soprattutto per lo studio antropologico, oltre che artistico, che si svolge con e attraverso gli ospiti stessi: il Dormitorio pubblico di Napoli, le classi di italiano per migranti, l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Secondigliano. Il progetto complessivo ha poi mutato il suo titolo in CHE SENSO HA SE SOLO TU TI SALVI, dal verso di un componimento di Antonio Neiwiller. Tre luoghi, tre percorsi laboratoriali che rispettivamente seguono tre tremi: vestire gli ignudi, ospitare i pellegrini, visitare i carcerati. Il primo “obiettivo” è quello che caratterizza lo spettacolo di questo festival 2014: VESTIRE GLI IGNUDI, i cui attori e i non attori sono: Antonio Buono, Davide Compagnone, Luciano D’Aniello, Maria Di Dato, Giuseppe del Giudice, Pier Giuseppe Di Tanno, Raffaella Gardon, Ciro Leva, Bruno Limoni, Osvaldo Mazzeca, Vincenza Pastore, Peppe Scognamiglio, Giovanni Villani. Spettacolo itinerante tra i piani del Dormitorio pubblico di Napoli, tra le stanze, i letti, la lavanderia, la stireria. Non è la prima volta che assistiamo ad uno spettacolo itinerante all’interno di un edificio a-teatrale, ma per la prima volta ci sentiamo violentemente invasivi, pudicamente ci accingiamo a sbirciare attraverso le porte. Ciò che colpisce, dopo aver preso un ascensore, è il silenzio confortevole e confortante che si spande tra le mura di corridoi  e stanze. Sembra che i rumori della città non penetrino assolutamente all’interno di questo edificio, sembra che all’apertura di ogni porta si venga invitati ad entrare nel mondo ovattato delle vite di ogni protagonista. Gli attori, tranne quattro personaggi ( ballerino, due attrici, violoncellista,  un attore) sono persone del popolo: vite dolorose, pochi averi, esperienze condivise tra quelle quattro mura, dentro quelle stanze, al cui ingresso compaiono i cartellini con i nomi e  i cognomi degli occupanti.  La scelta del regista di far intraprendere agli spettatori un percorso non lineare è intelligente. Si parte da un ultimo piano, la lavanderia con terrazzo, per poi scendere giù, poi risalire, e riscendere ancora, fino a percorrere un corridoio che prima era luminoso, poi diventa buio (ma forse non è lo stesso corridoio!), segnato solo dalle linee nette di luce che fuoriescono dalle porte chiuse, fino ad una cappella con pozzo, luogo surreale e conclusivo. Insomma, un percorso articolato, come quello della vita, che  ci è indicato inizialmente da un uomo con naso rosso, poi da un attore con cappello. Le immagini sembrano sfocarsi, compaiono due infermiere silenziose, anche loro attrici, anche loro, come il ballerino e l’uomo-guida, indossano le maschere di Tiziano Fario. Grigie, aggrottate, rigide, dagli occhi fissi e indelebili, queste maschere rendono gli attori  indefiniti, impalpabili, di contorno, affinché l’attenzione si concentri sui non-attori. Geniale la scelta di attivare una delle grandi lavatrici e di unire il ritmo ed il suono di una centrifuga a quello di un violoncello suonato da una delle infermiere. Da un mucchio di panni gettati a terra emerge un uomo nero, senza volto, che si dimena fino a liberarsi dei panni, fino a rimanere nudo, moderno Cristo in croce, martoriato e torturato dai mali del nostro tempo, appeso come un cencio malconcio ai fili del terrazzo( e il ballerino rimane davvero agganciato con le braccia). Le storie dei protagonisti sono commoventi, rubano lacrime agli spettatori, alcuni dei quali ritornano per la seconda volta a rivedere e a rivivere, “mettendosi nei loro panni” . La storia di Maria che chiede agli spettatori di scegliere delle carte dal mazzo, legge i loro destini, e compone poesie in un vecchio quaderno sgualcito, si svolge nella stireria. Ne legge alcune, si apre un mondo inaspettato, di parole, di dolore, di amore, quasi come ne “Il castello dei destini incrociati” di Calvino.  Gli abiti sono i protagonisti e ogni carta corrisponde ad un abito, ad una vita che tutti noi indossiamo, per volontà, per necessità, per caso. Non vogliamo svelare tutte le storie, anche se siamo fortemente tentati, ma cerchiamo di analizzare anche le scelte registiche, dalla tenda composta da abiti da sposa, da cui si stacca una figurina femminile con abito bianco e maschera, sul cui candore viene proiettato il film ( vero!) del matrimonio di uno dei protagonisti. Una malattia violenta, un amore spezzato, un matrimonio eterno, una canzone per sopravvivere. Il mare e i coralli, la rete che porta a galla spezzoni di vita, fino al pozzo della vita con le foglie che cadono, l’album dei ricordi, il fantoccio- bambino-marionetta, nell’inevitabile evoluzione umana. Scarpe che pendono dal tetto, un padre che corre da una vita, nell’assenza di gambe del figlio, una chitarra e piccoli oggetti conservati, una farfalla di carta e il senso di libertà. Di sfuggita un armadietto, con la coda del l’occhio, mentre ci accingiamo ad uscire, notiamo un tovagliolo di carta attaccato sull’anta. Si legge: oggi, miracolo di San Gennaro. Seguono data ed orario. Piccoli accenni affinché gli spettatori siano invogliati a vedere e a rivedere questo spettacolo-studio, poiché narrarlo non è come viverlo. Ognuno di noi deve necessariamente percepirlo in maniera diversa. Iodice parla di due elementi fondamentali: compassione ed empatia. Obiettivo, dunque, raggiunto, nella speranza che altri spettatori possano ritrovarsi ad applaudire alla fine, in cerchio, con un filo rosso tra le mani che unisce tutti, pubblico, attori, protagonisti e regista. E nella speranza, infine, che questo spettacolo non vada in teatro ma rimanga in uno dei suoi luoghi di nascita, affinché sia artisticamente, visivamente ed emotivamente più efficace.


Emanuela Ferrauto   

http://www.dramma.it/index.php?option=com_content&view=article&id=14817:napoli-teatro-festival-ii-parte&catid=39:recensioni&Itemid=14 

dimanche 6 juillet 2014

mettersi nei panni degli altri/ vestire gliignudi - Trailer

mettersi nei panni degli altri/ vestire gli ignudi - La Repubblica - Reviews - 7


mettersi nei panni degli altri/ vestire gli ignudi - Reviews - 6

Il teatro nei luoghi reali: Mettersi nei panni degli altri all’NTF 2014

Si staglia singolare, all’interno dell’offerta teatrale del Napoli Teatro Festival 2014, una messa in scena dall’intensa ed inquieta bellezza, opera preziosa e nostrana capace di condurre gli spettatori verso l’interno più intimo delle storie che racconta.
Mettersi nei panni degli altri | Vestire gli ignudi“, in scena al Centro Prima Accoglienza (ex Dormitorio Pubblico) dal 12 al 15 giugno 2014 , è una creazione unica nel suo genere, uno spettacolo intenso da ricevere, tanto intellegibile e cristallino nel suo sviluppo quanto coinvolgente e catartico nella sua atmosfera. L’originale premessa di Davide Iodice, regista e ideatore del concept, è stata quello di portare il teatro e gli spettatori nei luoghi veri, spostare il luogo di enunciazione dell’arte, entrare nelle camere da letto, negli armadi pieni di memoria, nei sogni e nei ricordi nascosti, tra vestiti dismessi e temporanei del Centro di Prima Accoglienza di via De Blasis.
lavanderia (1)
Non è la prima volta di Davide Iodice all’ex Dormitorio Vittorio Emanuele II: il drammaturgo partenopeo, infatti, forte di una solida formazione e di una vivida esperienza anche nel teatro pedagogico, propone il suo “Mettersi nei panni degli altri” come terza tappa di un processo creativo che si incentra sulla crisi della società contemporanea; il progetto, prodotto da Interno 5, prende liberamente ispirazione dalle Sette Opere di Misercordia di Caravaggio e si snoda attraverso il concetto “Che senso ha se solo tu ti salvi?”. Il tipo di scelta che opera Iodice, sia nella scelta della location che in quella del cast (in cui si alternano attori professionisti a protagonisti veri e propri delle storie rappresentate, reclutati tra utenti del Centro, redattori di strada del mensile nazionale Scarp de’ Tenis e ospiti de Il Binario della Solidarietà) rappresenta la ricchezza assoluta della messa in scena.
ciro 
Lo spettatore viene guidato in silenzio tra i corridoi bui, prima verso una lavanderia, poi attraverso un dedalo di stanze private, che diventano piccoli palcoscenici pregni di poesia e dolore. Nessuno è immune, nessuno è indifferente: attraverso otto quadri in successione il pubblico condivide uno spazio estremamente personale, tanto autentico e carico che finisce, per l’appunto, col far vestire i panni degli altri, col sapere che quella storia singola, recitata, chiaccherata, condivisa, cantata, sospirata, può essere quella di un fratello, di un amico, persino la propria. Ed è lì che la catarsi avviene,
in una camera  da letto piena di vestiti da sposa, con un uomo ( il bravissimo
Giuseppe Scognamiglio) ancora in abito da cerimonia,
o accanto ad un letto pieno di oggetti preziosi, i piccoli tesori trovati e nascosti nell’armadio di Luciano d’Aniello, che canta con voce limpida la sua incompresa voglia di libertà, accompagnato dalla chitarra di
Giuseppe del Giudice.
 sposi (3)
A partire dal primo quadro, disturbante e struggente, perfettamente inscenato dagli attori Pier Giuseppe di Tanno e Raffaella Gardon, passando per la dolce e fantasiosa chiromante Maria di Dato, fino ad arrivare ad Osvaldo Mazzeca con la sua tenera storia di padre e di corridore, lo spettacolo evolve in un’escalation di sensazioni, una serie di frecce scagliate e precise che narrano traiettorie di solitudine, di sogni infranti, di nuove speranze e di identità perdute.
Il gran finale musicale, energico e leggero, a cura del raffinato e randagio musicista Bruno Limone, lascia che l’impegnativa emotività e la crescente tensione dello spettacolo vengano liberate, scaricate, ma non senza aver prima riempito a dovere l’animo dello spettatore.
Mettersi nei panni degli altri| Vestire gli ignudi replicherà, a grande richiesta, a Gennaio, all’interno della stagione del Mercadante. Le date sono ancora da stabilire.


18 giugno 2014
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mercredi 2 juillet 2014

mettersi nei panni degli altri / vestire gli ignudi - Radio

à écouter l'émission Zazà du 15 juin 2014 sur 'mettersi nei panni degli altri' de Davide Iodice :