La poesia nel Dormitorio Pubblico di Napoli
17 gennaio 2015
Tra i tanti volti di
Napoli, questa città
eternamente sospesa tra l’implosione e l’esplosione, si rintracciano
altrettante possibilità creative, tutte vere e vive: nel
rutilante e decadente teatro a cielo aperto, gli artisti rispecchiano di volta in volta aspetti particolari, dettagli minimali, visioni, possibilità. C’è la Napoli dei
De Filippo e quella di
Viviani; quella di Pino
Daniele e quella dei
neomelodici; quella di
La Capria e della
Ortese; quella della
Camorra e quella della
solidarietà.
A teatro si rinfrangono questi sguardi, si moltiplicano i racconti, le voci, gli scorci. Il regista Davide
Iodice
ha da anni scelto di abbracciare uno dei volti meno eclatanti o
consolatori: la Napoli della marginalità, dei reietti, degli
abbandonati.
Senza retorica, ma con rispetto e ascolto, Iodice vive il suo
radicale legame con la città frequentando le emarginazioni, e da cinque
anni lavora in uno spazio inquietante e bellissimo, l’ex
Dormitorio Pubblico, per un progetto creativo di struggente bellezza e grande valore civile. Con l’importante sostegno produttivo del
Teatro Stabile, del
Napoli Teatro Festival
(bello, e da sottolineare, che strutture simili scelgano di dare forza e
spazio a imprese del genere: fortunatamente “antiproduttive” e
“antispettacolari”) e della dinamica I
nterno5, Iodice
torna con un nuovo spettacolo che è una discesa negli abissi dell’animo
umano, un perdersi nei labirinti di quel girone infernale che è l’ex
Dormitorio.
Sono gli ospiti della struttura, infatti, che si fanno protagonisti di
Mettersi nei panni degli altri /Vestire gli ignudi, primo movimento di un progetto titolato “Che senso ha se solo tu ti salvi”.
Con i loro volti semplici, a volte segnati dal tempo e dalla fatica;
con le loro voci vere e i loro sorrisi; con, sulle spalle, il peso di
chi è ferito ma non rinuncia alla propria dignità.
Il pubblico si muove in un
percorso articolato, non lineare. Scale, corridoi bui o stanzette minime, adornate di pochi oggetti dal forte valore simbolico (le scene sono di Tiziano
Fario).
Ecco allora la lavanderia all’ultimo piano: qui, al suono di un
violoncello, attraverso un vetro incrinato si vede il mare e poco
lontana, all’orizzonte, la retorica bellezza di Capri. Ma è la realtà
del Dormitorio ad imporsi, nei santini attaccati al muro, nella lana
delle coperte; nei lettini allineati o negli odori della sartoria, dove
una donna legge tarocchi o amare poesie.
Lo spettacolo ha
momenti commoventi: la storia del
cantante e del suo amore per una donna persa troppo presto; quella del
pescatore di coralli, che continua a dipanare la rete e i propri
ricordi; la storia del velocista mancato, vittima di un’infanzia davvero
faticosa, o di quell’uomo che nasconde oggetti e tracce del passato nel
proprio armadietto. Sono frammenti, piccoli quadri, suggestioni appena
sussurrate, come quella di una farfalla fatta di nulla che vola via, o
di un vecchio filmino super8 che rischiara il buio, di un ragazzo
immobilizzato a letto che finalmente può tornare a danzare, o di una
spoglia cappella che può diventare un giardino.
Nel labirinto, gli spettatori seguono
maschere enigmatiche
(bellissime) e incontrano questi racconti veri e dolenti: non vi è mai
commiserazione, semmai empatia, o consapevole e rispettosa
partecipazione. Queste persone, con le loro storie, non si fanno
“personaggi”, sono semplicemente testimoni della propria esistenza.
Nei suoi interventi registici, nel disegno generale, Iodice evoca non solo il teatro di
Kantor, ma rimanda anche ai ritratti umani di Danio
Manfredini o la poetica amara e vitalissima di Antonio
Neiwiller: chiama in causa, nelle note di regia, il
Caravaggio de
Le sette opere di misericordia, mentre il titolo evoca certamente il Pirandello più complesso.
Sono riferimenti importanti, naturalmente, ma forse non bastano – e
addirittura non servono – per connotare lo spettacolo. Che come Napoli
ha mille volti, quante sono le storie che nasconde nella sua oscurità.
Mentre fuori dalla finestra le luci del tramonto regalano squarci di
retorica bellezza, nell’ex Dormitorio Pubblico si consuma la vita.
Il Teatro, si sa, è poca cosa: però qui, per una volta, anche i vinti
del Dormitorio Pubblico possono essere vincitori e al traguardo finale
c’è una medaglietta per tutti. E negli applausi sinceri e condivisi si
mescola il sorriso amaro della commozione.