Immersi nel labirinto dell’ex Dormitorio Pubblico, la messinscena ideata da Davide Iodice crea un continuum tra attori e spettatori, costringendo a chiedersi chi debba mettersi nei panni di chi.
In principio è una lavatrice, un ammasso
di abiti e chi da quell’ammasso prova a divincolarsi. Quegli abiti non
sono i suoi, li sfugge, li toglie. Per tutta la durata dello spettacolo
scritto e diretto da Davide Iodice, e al suo debutto nell’ambito del
NTFI 2014 (dove sarà in scena ancora fino a domani 15 giugno, con doppie
repliche alle 17 e alle 18), una domanda ricorrente prevale,
maramaldeggia sulle altre, durante il percorso liturgico nei meandri
dell’ex Dormitorio Pubblico di Napoli: riguarda il titolo della
messinscena stessa. E non con riferimento al significato stretto della
frase “Mettersi nei panni degli altri”, bensì relativamente al
destinatario della asserzione, a colui al quale è diretto
quell’imperativo.
Se nel virtuoso percorso umano
immaginato dal drammaturgo napoletano e condotto insieme a coloro che
il Dormitorio lo abitano davvero (Antonio Buono, Davide Compagnone,
Luciano D’Aniello, Maria Di Dato, Giuseppe Del Giudice, Pier Giuseppe Di
Tanno, Raffaella Gardon, Ciro Leva, Osvaldo Mazzeca, Vincenza Pastore,
Peppe Scognamiglio, Giovanni Villani), bisognasse individuare un solo
elemento di rilievo, sarebbe certamente quello di riuscire a creare
un’impensabile continuità tra chi assiste e chi recita, sino a generare
una “relazione vitale”, come afferma il regista, una vera fusione tra le
parti.
Terza fase di un percorso creativo immaginato da Iodice per indagare le piaghe e le difficoltà sociali contemporanee, che di fatto non generano che emarginazione, e ispirato alle Sette opere di Misericordia
di Caravaggio, lo spettacolo è un invito proprio alla misericordia,
intendendo con ciò il tentativo di indurre alla comprensione,
all’immedesimazione nei panni di coloro che si possono definire
dimenticati. È un invito senza accusa, che non addebita colpe ma si
limita a constatare. È un invito che può essere indirizzato sì a chi
assiste, ma al contempo anche a quegli stessi dimenticati: perché a
mettersi nei panni nostri, ovvero di chi è capace di ignorare, deve
essere una sensazione altrettanto alienante.
In questo camminare attraverso storie,
ricco di simbolismi puntuali e mai casuali, i commoventi racconti dei
protagonisti non sono solo espediente narrativo, ma la sostanza che
veicola e detta i ritmi dell’andatura, una sorta di litania
dell’indifferenza.
Non è esaustivo mai abbastanza parlare dello coinvolgimento emotivo
a cui i lavori del regista e drammaturgo naturalmente portano, quella
cifra caratteristica che li rende a loro modo unici. Ritenere la
struttura “anomala” delle sue opere una condizione essenziale
d’esistenza non significa lederne la credibilità e sminuirle, ma semmai
collocarle a priori in un punto che permetta una prospettiva d’analisi
differente. In questa visione, mettersi nei panni altrui diventa un
viaggio nel quale le storie di chi è stato messo in disparte da questo
mondo mortificano chi ci si trova davanti, il complice involontario.
Non può esistere un teatro più sociale
di questo, non può esservi tentativo sperimentale più attuale, più
contemporaneo nel senso più pieno della parola; nulla può, non può e
basta, svegliare dal torpore più di quanto faccia il seguire la
processione pensata da Iodice in quel dedalo di corridoi della casa di
tanti nessuno, che per il timore di non essere si legano in modo vitale a
piccole cose apparentemente effimere, vedi la cartomante e i suoi
attrezzi del mestiere, oppure l’uomo con la sua scatola di piccoli
oggetti, ognuno associato ad un ricordo, che cerca nelle piccole cose
accumulate l’affetto di una famiglia che non c’è, o ancora lo sposo
rimasto orfano di sua moglie, che vive per ricordarla vestendo gli abiti
di nozze. I protagonisti, in un luogo familiare come quello in cui
dormono si mostrano nella loro grandezza umana, con lo spirito ferito e dilaniato di chi è diventato invisibile.
Andrea Parrè
http://www.quartaparetepress.it/index.php/2014/06/14/mettersi-nei-panni-degli-altri-gli-altri-chi/
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