dimanche 22 juin 2014

mettersi nei panni degli altri / vestire gli ignudi - Reviews - 1


Immersi nel labirinto dell’ex Dormitorio Pubblico, la messinscena ideata da Davide Iodice crea un continuum tra attori e spettatori, costringendo a chiedersi chi debba mettersi nei panni di chi.

Fonte foto ufficio stampaPierGiuseppe Di Tanno e Raffaella Gardon      
Fonte foto ufficio stampa

In principio è una lavatrice, un ammasso di abiti e chi da quell’ammasso prova a divincolarsi. Quegli abiti non sono i suoi, li sfugge, li toglie. Per tutta la durata dello spettacolo scritto e diretto da Davide Iodice, e al suo debutto nell’ambito del NTFI 2014 (dove sarà in scena ancora fino a domani 15 giugno, con doppie repliche alle 17 e alle 18), una domanda ricorrente prevale, maramaldeggia sulle altre, durante il percorso liturgico nei meandri dell’ex Dormitorio Pubblico di Napoli: riguarda il titolo della messinscena stessa. E non con riferimento al significato stretto della frase “Mettersi nei panni degli altri”, bensì relativamente al destinatario della asserzione, a colui al quale è diretto quell’imperativo.
Se nel virtuoso percorso umano immaginato dal drammaturgo napoletano e condotto insieme a coloro che il Dormitorio lo abitano davvero (Antonio Buono, Davide Compagnone, Luciano D’Aniello, Maria Di Dato, Giuseppe Del Giudice, Pier Giuseppe Di Tanno, Raffaella Gardon, Ciro Leva, Osvaldo Mazzeca, Vincenza Pastore, Peppe Scognamiglio, Giovanni Villani), bisognasse individuare un solo elemento di rilievo, sarebbe certamente quello di riuscire a creare un’impensabile continuità tra chi assiste e chi recita, sino a generare una “relazione vitale”, come afferma il regista, una vera fusione tra le parti.
Terza fase di un percorso creativo immaginato da Iodice per indagare le piaghe e le difficoltà sociali contemporanee, che di fatto non generano che emarginazione, e ispirato alle Sette opere di Misericordia di Caravaggio, lo spettacolo è un invito proprio alla misericordia, intendendo con ciò il tentativo di indurre alla comprensione, all’immedesimazione nei panni di coloro che si possono definire dimenticati. È un invito senza accusa, che non addebita colpe ma si limita a constatare. È un invito che può essere indirizzato sì a chi assiste, ma al contempo anche a quegli stessi dimenticati: perché a mettersi nei panni nostri, ovvero di chi è capace di ignorare, deve essere una sensazione altrettanto alienante.
In questo camminare attraverso storie, ricco di simbolismi puntuali e mai casuali, i commoventi racconti dei protagonisti non sono solo espediente narrativo, ma la sostanza che veicola e detta i ritmi dell’andatura, una sorta di litania dell’indifferenza.
Fonte foto ufficio stampa
Vincenza Pastore. Fonte foto ufficio stampa

Non è esaustivo mai abbastanza parlare dello coinvolgimento emotivo a cui i lavori del regista e drammaturgo naturalmente portano, quella cifra caratteristica che li rende a loro modo unici. Ritenere la struttura “anomala” delle sue opere una condizione essenziale d’esistenza non significa lederne la credibilità e sminuirle, ma semmai collocarle a priori in un punto che permetta una prospettiva d’analisi differente. In questa visione, mettersi nei panni altrui diventa un viaggio nel quale le storie di chi è stato messo in disparte da questo mondo mortificano chi ci si trova davanti, il complice involontario.
Non può esistere un teatro più sociale di questo, non può esservi tentativo sperimentale più attuale, più contemporaneo nel senso più pieno della parola; nulla può, non può e basta, svegliare dal torpore più di quanto faccia il seguire la processione pensata da Iodice in quel dedalo di corridoi della casa di tanti nessuno, che per il timore di non essere si legano in modo vitale a piccole cose apparentemente effimere, vedi la cartomante e i suoi attrezzi del mestiere, oppure l’uomo  con la sua scatola di piccoli oggetti, ognuno associato ad un ricordo, che cerca nelle piccole cose accumulate l’affetto di una famiglia che non c’è, o ancora lo sposo rimasto orfano di sua moglie, che vive per ricordarla vestendo gli abiti di nozze. I protagonisti, in un luogo familiare come quello in cui dormono si mostrano nella loro grandezza umana, con lo spirito ferito e dilaniato di chi è diventato invisibile.
Andrea Parrè


http://www.quartaparetepress.it/index.php/2014/06/14/mettersi-nei-panni-degli-altri-gli-altri-chi/

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