samedi 24 janvier 2015

Otto storie di vite - il desk - 17/01/15

Otto storie di vite nel Dormitorio di Napoli, Iodice restituisce l'identità agli ultimi
Suggestiva rappresentazione di Mettersi nei panni degli altri/Vestire gli ignudi, mandata in scena al Centro di Prima Accoglienza
NAPOLI - Maiuscola e suggestiva rappresentazione di Mettersi nei panni degli altri/Vestire gli ignudi, mandata in scena da Davide Iodice al Centro di Prima Accoglienza (ex Dormitorio Pubblico). Il lavoro è il primo movimento del progetto di ricerca e creazione  Che senso ha se solo tu ti salvi, ispirato a Le Sette opere di Misericordia  di Caravaggio. Con esso prosegue il percorso teatrale del regista napoletano sulla crisi della società contemporanea intrapreso con i precedenti  La fabbrica dei sogni e  Un giorno tutto questo sarà tuo. In un anno Davide Iodice ha raccolto le storie di alcuni ospiti del dormitorio nel momento in cui hanno "perso la loro identità" e le ha messe in scena con loro stessi protagonisti, affiancati da attori che sono specialisti dell'esistenza e della scena. Sono degli assistenti "magici" che li aiutano con la loro maieutica a fare venire fuori l'evocazione.  Lo spettacolo si svolge in otto stanze per otto storie e compone un sorprendente affresco esistenziale e umano, capace di cogliere e restituire il valore della dignità di ogni singolo. Gli spettatori, guidati, da un attore con il volto mascherato, iniziano la loro visita. La prima stanza è la Lavenderia in cui si svolge il prologo del lavoro che ha come tema la ricerca dell'Identità. Si parte da un cappotto vuoto e da  una musicista che suona il violoncello.  Compare, quindi, una  figura che si spoglia togliendosi di dosso moltissimi abiti maschili e femminili a simboleggiare tutte le identità che sono accolte nel dormitorio. La scena termina con il personaggio che si accascia sui fili dei panni del bucato e viene coperto da un lenzuolo bianco che la giovane musicista spande. E' un'anima sulla città e un chiaro riferimento a Michelangelo. Nel Guardaroba si racconta la storia di Maria. Legge i tarocchi e declama due sue poesie molto belle. In quel guardaroba arrivano le giacche che vengono stirate e numerate per essere, poi, attribuite ad ogni persona ospitata nel dormitorio: rappresentano i destini di ciascuno di loro e il numero è quello del letto che gli è stato assegnato. La visita continua e si arriva nella prima stanza del dormitorio., la Stanza del mare. Su una rudimentale barca a remi Giovanni, un pescatore di coralli, racconta la sua vita trascorsa anche in un mare di alcol.  E' divento alcolista, perdendo l'identità, per la morte della moglie. Quindi si va nella Stanza degli sposi. Qui la perdita dell'identità è la perdita della moglie. Si arriva alla Stanza di Luciano, un uomo che ha rotto con gli schematismi familiari e con le convenzioni. Sceglie la libertà che però lo rende un emarginato perchè gli altri lo mettono da parte. Raccoglie gli oggetti dimenticati e attraverso questi cerca di ricostruire una sua affettività. Il percorso continua nella Cappella dove Antonio declama una sua bellissima poesia il cui incipit è "Non correrò più nell'orto di mia madre". Parla, come se fosse un sogno, dell'armonia perdura, della nostalgia del passato. Molto suggestiva la drammatizzazione fatta da Iodice con l'evocazione delle figure chiave descritte nella poesia. Poi si va nella stanza dell'Emergenza dove Osvaldo racconta del momento della perdita della sua identità quando il figlio, investito da un pirata della strada, diventa tetraplegico. Osvaldo amava la corsa, era molto bravo, ma per una sua intemperanza non riuscì a vincere la medaglia messa in palio in una competizione. Iodice gliela dà simbolicamente nella Corsa, quando tutti i protagonisti, ciascuno secondo le proprie possibilità, fa una corsa su una pista allestita nel grande atrio del dormitorio. Uno alla volta tagliano il traguardo dove c'è uno specchio in cui ciascuno si riconosce e trova la propria idenità. Di grande effetto il momento in cui tra le mani degli attori e spettatori, disposti in circolo, passa il filo rosso del traguardo chiudendosi a cerchio a simboleggiare il sorgere del rapporto empatico di tutti con tutti. La rappresentazione si chiude con il cantautore Bruno Limone che canta "Le cose che dovevo fare quando le dovevo fare", accompagnato al violoncello dalla musicista che si è tolta la maschera come tutti gli altri.  Gli Interpreti sono, Antonio Buono, Davide Compagnone, Luciano D’Aniello, Maria Di Dato, Giuseppe Del Giudice, Pier Giuseppe Di Tanno, Raffaella Gardon, Ciro Leva, Osvaldo Mazzeca, Vincenza Pastore, Peppe Scognamiglio, Giovanni Villani. Collaboratore generale Luigi Del Parto ;  spazio scenico, maschere e costumi  Tiziano Fario ;  produzione  Teatro Stabile di Napoli, Interno 5, Fondazione Campania dei Festival, Napoli Teatro Festival Italia ;  collaborazione  Centro Prima Accoglienza (ex Dormitorio Pubblico), Scarp De Tenis, Binario della Solidarietà – Napoli.
(Foto davideiodice-teatro.it)
Mimmo Sica


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